Un dove preciso.

Vengo da una città che non è casa, non è radice né madre.
Il vento che ti insulta e il mare che ti abbraccia lo sguardo, aiutano qui – più che in altri luoghi – a rimetterti al tuo posto. E a sperimentare il concetto di impermanenza.
Le cose cambiano. Le persone cambiano. Le situazioni cambiano.
Tanto vale farlo anche tu.
E quindi puoi rinascere ogni volta, ogni giorno un po’, costruire pezzo a pezzo la famiglia che vuoi, sentire la casa come stato d’animo e ritrovarla dislocata in giro per il pianeta e nelle persone che sai.
Questa fotografia è per me emblematica del mio rapporto con la città: persone che vanno e vengono accanto alla magnificenza, e io da un lato a contemplarla.
(E a volte a conservarla, appunto).
A volte da questo lato c’è qualcuno, a volte no. Ma è una scelta libera, perché il prezzo pare alto e io non sento di voler voce in capitolo nelle trattative.
Ma si diceva della magnificenza.
Palazzi bellissimi, scorci bellissimi, bisogna stare molto attenti e non lasciarsi distrarre, e non perdersi nulla.
E non perdersi. Per nulla.
La fortuna di scorgere tutto e nascere in una città così.
La fortuna che, se sei attento abbastanza, non avrai occhi che per la bellezza.
Però a volte i percorsi sono tortuosi, e arrivi dopo alle cose.
Solo a un certo punto.
Solo dopo esser passata da un dolore grande.
Non è obbligatorio, se sei fortunato te ne accorgi prima e senza toccare certi picchi.
Per me, quando me ne sono accorta, niente è più stato uguale a prima.
E guardando indietro ho unito i puntini abbastanza da sperare di illuminare tutto il “prima”.

Questo, forse, è un altro pensiero ancora.
Ma intanto mi ha dato la chiave per scrivere questo.

Al solito, enjoy.
Ma come consiglio generale, proprio.

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